La vitiligine è una discromia , caratterizzata da aree depigmentate.
La malattia colpisce circa l’1% della popolazione mondiale senza distinzione di razza e di sesso.
Ci sono varie teorie per cercare di spiegare la vitiligine, ma quella più accreditata sembra essere quella autoimmune.
I melanociti verrebbero distrutti dai linfociti. Sarebbe così spiegata l’associazione tra presenza di vitiligine ed altre malattie autoimmuni che colpirebbero queste persone, come disturbi tiroidei autoimmuni, malattia di Addison, alopecia areata , anemia perniciosa etc.
Un’altra teoria è quella di Lerner , detta anche dell’autodistruzione. Durante la sintesi della melanina si creerebbero delle alterazioni con formazione ed accumulo di precursori tossici, composti fenolici, che distruggono i melanociti.
L’ipotesi si basa sugli effetti dei fenoli sui melanociti. Il leucoderma risultante è indistinguibile dalla vitiligine idiopatica.
Scarsi consensi invece raccoglie l’ipotesi neurologica.
Dall’estremità dei nervi verrebbe secreta una sostanza tossica che blocca la melanogenesi.
Nelle aree colpite dalla vitiligine è stata osservata una disfunzione nervosa simpatica.
La vitiligine può anche essere ereditaria.
Non esiste ad oggi una terapia risolutiva della malattia e molti pazienti fanno ricorso a procedure di colorazione delle parti depigmentate.
Per anni la terapia elettiva della vitiligine è stata la PUVA ( psoraleni + luce ultravioletta A).
I limiti di questa terapia sono l’epatossicità dei psoraleni e l’insorgenza di tumori della pelle.
Oggi si tende ad utilizzare la luce ultravioletta B ( UVB) a banda stretta ( 311 nm), senza aggiunta di psoraleni.
E’ stato osservato che i pazienti con vitiligine accumulano nella loro epidermide perossido di idrogeno, presentano bassi livelli di catalasi, ed alte concentrazioni di 6-7 biopterina.
In alcuni studi sperimentali è stato applicato per via topi ca un preparato a base di pseudocatalasi, per rimuovere l’eccesso di perossido di idrogeno, attivato dalla luce ultravioletta B a banda stretta.
Nei pazienti con piccole aree depigmentate, in alcuni casi, si può ricorrere al trapianto autologo della pelle. Il chirurgo preleva da parti sane del corpo la pelle e la innesta nelle aree depigmentate.
Buone indicazioni vengono dal laser ad eccimeri ( 308 nm), ma questa tecnica è ancora sperimentale.
Nel prossimo futuro la procedura elettiva sarà l’impianto di melanociti coltivati nelle aree depigmentate.
Carlo Franzini
Xagena 2001